mercoledì 9 luglio 2008

GANDHI





Simbolo della pace Esponente del pacifismo
« Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo »

Mohandas Karamchand Gandhi,

detto il Mahatma (grande anima), nacque in India nel 1869. Dal 1893 fino al 1914 visse in Sudafrica, dove lottò per i diritti civili degli Indiani sperimentando quei metodi non violenti che lo avrebbero reso celebre in tutto il mondo. Nel 1921 lanciò la grande campagna di disobbedienza civile contro le autorità inglesi che, dopo oltre 25 anni, portò l'India all'indipendenza. Morì nel 1948, vittima di un fanatico indù.

"....Una strofa didattica gujarati mi entrò nella mente e nel cuore e il suo insegnamento - rispondere al male con il bene - divenne il mio principio ispiratore, divenne per me una tale passione che cominciai a fare vari esperimenti. Ecco quelle (per me) meravigliose righe:

Per una ciotola d'acqua offri un buon pasto

Ad un gentile benvenuto inchinati con ardore.

Per una semplice monetina restituisci oro.

Se la vita vuoi salva, non salvaguardarti.

Così osserva le parole e le azioni del saggio.

Ogni minimo favore ricompensa dieci volte.

Ma i veri nobili sanno che tutti gli uomini sono uguali,

e lietamente ricambiano col bene il male ricevuto."

(da "La mia vita per la libertà" di M. K. Gandhi)

Del Mahatma è stato scritto moltissimo, sia sulla sua vita che sul suo pensiero, ma quello che tutto il mondo ricorda di Gandhi riguarda soprattutto la sua enorme impresa : un piccolo uomo, ne’ ricco ne’ potente, solo grazie alla forza della sua mente e della sua anima, riuscì a liberare una grandissima ma debole nazione come l’India dalla dominazione di un paese ricco, potente ed arrogante come l’Inghilterra.

Il nucleo del pensiero di Gandhi racchiude tre punti fondamentali: l'autodeterminazione dei popoli, il rifiuto della violenza quale strategia di lotta rivoluzionaria, la tolleranza religiosa.

Il primo tema è strettamente intrecciato con la lotta del popolo indiano contro il dominio coloniale. Gandhi era convinto della necessità che gli indiani fossero liberi di poter decidere come amministrare il loro Paese perché la miseria nella quale era ridotto dipendeva proprio dal prelievo forzato delle risorse dell'India da parte dei britannici. Purtroppo a diversi decenni dalla liberazione (e dalla morte di Gandhi, avvenuta nel 1948) il subcontinente indiano versa ancora in condizioni d'estrema povertà e ciò perché l'indipendenza politica non è stata accompagnata da una reale indipendenza economica. Da questo punto di vista il problema dell'India è lo stesso di tutti i Paesi del Terzo Mondo e delle zone sottosviluppate e sfruttate dell'Occidente. In definitiva il tema dell'autodeterminazione dei popoli non può essere separato da quello dello sfruttamento e dalla dipendenza economica che non permettono la reale indipendenza politica. Naturalmente Gandhi, ben conscio di questa limitazione, si è battuto a lungo nella sua vita per l'autosufficienza dell'India dagli inglesi.

Il rifiuto della violenza come strategia di lotta, è comunque il punto caratterizzante del pensiero di Gandhi. Il Mahatma era convinto che la violenza non potesse essere un mezzo efficace per ottenere gli obbiettivi prefissati e ciò per varie ragioni. La prima è senza dubbio legata alla profonda umanità del personaggio, alla sua educazione e alla sua cultura; sua ferma convinzione era che i violenti sono alla lunga più deboli dei non-violenti, e usano la violenza proprio a causa della loro debolezza. Gandhi sosteneva anche che una liberazione violenta avrebbe generato dei governanti violenti, figli del metodo usato per giungere al potere (e se si guarda la storia, non si può non essere d’accordo con Gandhi). In ogni caso non bisogna pensare che Gandhi proponesse un atteggiamento passivo di fronte agli oppressori e ai violenti, tutt'altro. La strategia di lotta organizzata dal Mahatma consisteva nella resistenza passiva, cioè non reagire alle provocazioni dei violenti (pratica che richiede un'enorme forza morale e Gandhi lo sapeva bene) e nella disobbedienza civile, in pratica il rifiuto di sottoporsi a leggi ingiuste (si ricordino, a tal proposito, la campagna contro le stoffe inglesi oppure la marcia del sale, le giornate di digiuno e preghiera,veri e propri scioperi generali in grado di paralizzare l'intero Paese).

Ultimo grande tema è la tolleranza religiosa. Nel caso di Gandhi il problema si riferisce alla particolare situazione etnica dell'India. Paese immenso, grande quasi quanto l'Europa intera, abitato da un'infinità di gruppi etnici e professioni religiose diverse, spesso a stretto contatto tra loro, vero e proprio laboratorio della società globale. Gandhi era convinto che questa fosse una ricchezza dell'India e che andasse salvaguardata, ma senza dividere politicamente la nazione. In fondo le diversità religiose potevano essere superate da un comune interesse verso l'essere umano. Nella pratica gli eventi non andarono come sperava Gandhi. I musulmani guidati da Jinnah pretesero uno stato indipendente, con la conseguenza che la linea di confine tra India e Pakistan, tracciata nel 1947, spezzò molti legami umani costringendo milioni di persone ad abbandonare la propria casa. Gandhi era consapevole della portata esplosiva della contrapposizione religiosa e per questo si oppose alla separazione dell'India. Nelle città dove imperversava la violenza Gandhi riuscì quasi a fare ciò che gli eserciti non erano riusciti a fare. A Calcutta, con la sua semplice presenza, accompagnata da un digiuno a rischio della propria vita (aveva ben 77 anni), riuscì a fermare la lotta interna tra indù e musulmani. Quest'enorme sforzo lo rese inviso ai fanatici indù (la professione religiosa di Gandhi, maggioritaria in India) e fu uno di loro che lo assassinò il 30 gennaio del 1948.




"Per riuscire a vedere faccia a faccia lo Spirito della verità, universale e onnipresente, bisogna riuscire ad amare la più modesta creatura quanto noi stessi. E un uomo che nutre questa aspirazione non può esimersi dal partecipare a nessun aspetto della vita, ecco perché la mia adorazione per la Verità mi ha portato ad interessarmi anche di politica; posso affermare senza la minima esitazione, sebbene con molta umiltà, che coloro che sostengono che la religione non c'entra con la politica, ignorano cosa sia la politica."

« Se l'amore e la non violenza non sono la legge del nostro essere, tutta la mia argomentazione cade a pezzi. »


L'ahimsa è amore verso il prossimo, sentimento disinteressato di fare il bene degli altri, anche a costo di sacrifici personali: secondo Gandhi tutti gli esseri viventi, in quanto creature di Dio, sono legati tra loro e devono essere uniti da amore fraterno. Seguendo l'insegnamento cristiano dell' "Ama il prossimo tuo come te stesso" Gandhi predica l'amicizia fraterna tra tutti gli esseri umani, musulmani e indù, uomini e donne, paria e brahmini, in nome dell'amore e dell'uguaglianza:
« Io e te siamo una sola cosa: non posso farti male senza ferirmi. »


Ognuno deve essere disposto anche a morire per l'altro, a lottare per le ingiustizie fino in fondo, purché la verità e la giustizia trionfino.
« Ci sono cose per cui sono disposto a morire, ma non ce ne è nessuna per cui sarei disposto ad uccidere. »

M. K. Gandhi

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